Ponte San Pietro

Se da Ischia di Castro ci dirigiamo verso Manciano, quasi al confine tra Lazio e Toscana, ci troveremo ad attraversare un grande ponte, che con imponenza scavalca l’alveo del fiume Fiora.
L’aria fresca e pura che vi si respira, il cinguettio degli uccelli, lo scorrere del fiume che scende dolcemente a valle e gli occhi illuminati dal verde della vegetazione, ci inducono un senso di pace che altrove è difficile trovare.
Se si ha la fortuna di passarci in una bella giornata e ci si affaccia a guardare il letto del fiume, nel versante Nord Ovest, si rimarrà colpiti dalla bellezza del paesaggio, dominato da un ponte molto più antico di quello che si percorre, la cui ombra, rispecchiandosi sull’acqua, forma un cerchio perfetto.
Il ponte più recente risale agli anni ’30 del XX secolo, mentre il più antico ha origini quattrocentesche, pur essendo da molti denominato “ponte romano”.
Ma a cosa deve il suo nome Ponte San Pietro? All’ipotesi che nelle vicinanze vi sia stata una pieve dedicata all’Apostolo, se ne affianca una più semplice che vede la sua derivazione dal fatto che attraverso di esso si poteva accedere dai domini della Repubblica di Siena al Patrimonio di San Pietro in Tuscia.
I ponti nell’antichità hanno rivestito un ruolo importantissimo ed un’arma a doppio taglio per le popolazioni che dal fiume erano divise: se dal punto di vista economico miglioravano le attività commerciali, in caso di conflitti potevano facilitare l’avanzata nel territorio nemico, superando facilmente le barriere naturali create dai costoni fluviali.
Le rocce evidenziate dall’erosione testimoniano origini antichissime; sono infatti rocce metamorfiche risalenti al Triassico (da 252,2 a 200 milioni di anni fa), più precisamente scisti filladici ed argilloscisti quarzoso-micacei.
Anche dal punto di vista mineralogico l’area ha rivestito un ruolo importante, avendo restituito tracce più o meno cospicue di diversi metalli, tra cui l’oro, ritrovato sia sotto forma di pagliuzze che di minuscole sferule.
Nel 1940 i lavori di costruzione della strada fecero scoprire la necropoli di Ponte San Pietro e, dopo diversi anni, Ferrante Rittatore Vonwiller e Luigi Cardini portarono alla luce ben 25 sepolture a grotticella riferibili alla facies rinaldoniana, studiate interamente sono negli anni ’90 da Monica Miari.
L’abbondanza di materiale e la varietà dei reperti (di cui alcuni conservati al Museo civico Pietro e Turiddo Lotti di Ischia di Castro), permisero di indicare la suddetta necropoli come una tra le più rappresentative della cultura tosco-laziale di Rinaldone (IV-III millennio a.C.), che prende il nome dal luogo della prima scoperta, avvenuta nel 1901 nel territorio di Montefiascone.
Evidenze archeologiche soprattutto dell’età del bronzo, sia abitative che funerarie, sono state riconosciute più a valle, in un sito che prende appunto il nome di Ponte San Pietro Valle, ma non mancano frequentazioni successive.
Qui l’uomo ha vissuto e prosperato, senza mai stravolgere la natura, ha preso ciò che essa aveva da offrire rispettandola, e questo rispetto si respira e si percepisce da ogni roccia, ogni albero, ogni animale selvatico che ci troviamo di fronte, impaurito nel vederci, quasi come se fosse con noi al primo incontro.


Dott. Tiziano Colagè
Promosso dall’amministrazione del Comune di Ischia di Castro



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Foto 1, 2, 3: Scorci di Ponte San Pietro. Foto di Tiziano Colagè e Simone Tascio.


Foto 4: Tra le più importanti deposizioni della Necropoli eneolitica è la Tomba della vedova, conservata al Museo L. Pigorini di Roma. La sepoltura ospita i corpi di un maschio adulto accompagnato da un importante corredo formato da vasi ed armi in pietra e rame, e di una donna con una frattura cranica, che ha permesso di ipotizzare la sua morte rituale in seguito alla morte del marito. Da http://www.retemuseiuniversitari.unimore.it/site/home/paesaggi/preistoria-e-antichita/articolo160025029.html